Racconti di viaggio: Quella volta che venni fatta prigioniera a Sharm
Stavo lavorando a Sharm el Sheik per un’importante incentive house milanese. L’account della agenzia era una mia cara amica.
La mia amica aveva chiuso un importante contratto con l’azienda cliente che aveva accettato di organizzare a Sharm il proprio incentive. Si trattava di due gruppi molto numerosi: alla partenza del primo gruppo sarebbe seguito l’arrivo del secondo.
Era previsto che io e i due comici italiani ci fermassimo a coprire l’arco dei 15 giorni e rientrassimo con il secondo gruppo.
L’organizzazione era perfetta: voli, hotel, trasferimenti, intrattenimento, escursioni ecc. L’albergo era stupendo e in un punto paradisiaco. Si mangiava divinamente. La gente era entusiasta.
Tutto filò liscio fino alla sera prima della partenza.
Il Direttore dell’albergo mi convocò e mi disse che l’agenzia non aveva pagato l’hotel e quindi io ero in ostaggio assieme ai due comici.
Avrei voluto vedere la mia faccia.
Il Direttore mi rassicurò però che dovevo stare tranquilla, non era un vero e proprio sequestro. Potevo rimanere nella mia camera, cenare in hotel e usufruire di tutti i servizi. Ero libera di fare quello che volevo tranne tornare in Italia.
Telefonai immediatamente alla mia amica account per avvisarla del problema. Dopo un primo momento di sgomento, mi disse che si sarebbe attivata subito per sistemare la questione economica.
Ora si trattava però di dirlo a mio marito Massimo, l’Avucat.
Massimo, che viveva nella nebbia dei miei continui spostamenti, non capì subito dove fossi e cosa mi stesse succedendo, quando poi mise a fuoco la parola “ostaggio”, cominciò a gridare come un ossesso nella cornetta che quasi mi staccò un orecchio. Cercai di tranquillizzarlo, ma quando abbassai il ricevitore stava ancora urlando frasi sconnesse.
A quel punto dovetti andare a raccontarlo ai due comici, i quali, essendo comici e conoscendo il mio senso dell’umorismo, pensavano che io li stessi prendendo in giro.
Appurato invece che era vero, anziché spaventarci, non trovammo niente di meglio da fare che inscenare dei set fotografici del finto sequestro con i cartelli da mandare ai parenti. Non riuscivamo a rimanere seri e ridevamo talmente tanto che cominciarono a ridere a crepapelle anche quelli dell’albergo.
Passammo tre giorni in panciolle in attesa del pagamento. Alla fine l’agenzia pagò e noi tornammo in Italia sani e salvi.