Racconti di viaggio

RICORDI DI VIAGGIO : Se vuoi sapere cosa succede a Ibiza, devi andarci

Qualche giorno fa con l’amica Enrica abbiamo aperto il baule dei ricordi e abbiamo estratto Ibiza. Erano gli anni in cui viaggiamo come trottole per lavoro. Il mondo ci sembrava piccolissimo. Era tutto a portata di mano. Prendere un aereo e schizzare da una parte all’altra del globo per noi era più facile che prendere un tram a Milano. Lavoravamo come matte, non ci fermavamo mai. Eravamo riuscite a trasformare la nostra passione per i viaggi in una professione entusiasmante che esercitavamo con grande attenzione e dedizione, pur facendola sembrare agli occhi degli altri un gioco.

Ci siamo accorte che di Ibiza abbiamo poche fotografie e poco significative. Pur avendo la passione per la fotografia, fermarci a scattare ci sembrava di perderci qualcosa e preferivamo contemplare e conservare nella nostra mente.

Il racconto che segue è solo una sparuta selezione di tanti momenti condivisi e lo dedico ad Enrica con affetto.

La primavera dell’87

Era la primavera dell’87. Dopo la laurea, capito dopo qualche esperienza che la carriera aziendale non faceva per me, mi ero messa a lavorare come traduttore-interprete e tour leader per i principali tour operator italiani. Ero sempre in viaggio per lavoro e quando non lo ero per motivi professionali, esploravo per i fatti miei.

Quella mattina, guardando fuori dalla finestra del mio appartamento a Milano, decisi di partire per Ibiza. Trovai un volo per il giorno dopo. Telefonai a mia madre e glielo comunicai. Mia madre rispose : OK!  Mia madre risponde sempre OK!.  Anche adesso, su Whatsapp.  “Mamma, un asteroide sta per colpire la terra e moriremo tutti!”, risponde:  OK!  Chiamai poi Massimo che viveva a Torino.  “ Ah, vai a Ibiza? – disse – “Lo scrivo in agenda”. Lui invece appuntava sempre in agenda i miei spostamenti per non perdere le coordinate.

Avvisai del mio arrivo le mie due amiche E. e L. che vivevano sull’isola e gestivano con altri colleghi la stagione e il traffico passeggeri di un celeberrimo tour operator italiano. 

People

La vita su Ibiza scorreva in base al fuso orario di New York. Ci si alzava alle 2 del pomeriggio quando si svegliava la Grande Mela e non si dormiva mai, o meglio, si crollava al momento opportuno e comunque tra le abilità richieste c’era quella di sembrare svegli anche quando dormivamo in piedi.

Sulle spiagge, nei bar, nei ristoranti di Calle Mayor, al mercato di Es Canar, su tutta l’isola, nelle discoteche più gettonate  come Ku, Pacha, Amnesia, persone di tutte le etnie, sesso, religioni ed età, hippie, gente comune, jet set, rock star, attori, registi e politici provenienti da tutto il mondo si mescolavano in una festosa e inarrestabile movida. 

Non esistevano regole e orari, noi eravamo giovani, bellissimi, pieni di energia e voglia di divertirci, ridevamo in continuazione e vivevamo H24 muovendoci all’unisono pacifici e armonici sotto lo stesso cielo stellato.

Io stavo a Playa d’en Bossa. Qui avevo stretto amicizia con due transgender italiane che avevano intenzione di trasferirsi sull’Isola. Mangiavamo assieme a ore improbabili e andavamo a prendere il sole in riva al mare, dove ci perdevamo in lunghe dissertazioni sulla vita. Erano due persone raffinate e colte. Guadagnai la loro fiducia e mi raccontarono delle loro scelte. Fui loro grata perché mi aprirono una finestra su una realtà a me sconosciuta. Alla sera ognuna si faceva i fatti propri. 

Nightlife

Durante la mia permanenza sull’isola venni invitata al party di apertura della stagione estiva del KU, l‘iconica discoteca open air che ospitava le feste più spettacolari di sempre. Con le amiche E. e L. e i colleghi organizzammo una cena nella loro casa, dove abitavano tutti assieme, e tra risate e gavettoni tirammo tardissimo per andare alla festa in discoteca.

Ricordo un caos e un traffico inverecondi per raggiungere il KU Club.  Non si riusciva ad avanzare di un centimetro. Parcheggiammo l’auto da qualche parte in uno sterrato, al buio pesto. 

Il KU con i suoi bagliori sembrava un’astronave appena atterrata e la musica arrivava come un tuono. Era un richiamo irresistibile. 

Mentre camminavamo sulla strada mi si affiancarono 3 americani, più grandi di età.

Uno di questi si presentò come il proprietario di una delle più famose discoteche di Los Angeles, mi disse che era Ibiza con un amico, mentre il terzo era una specie di segretario-guardia del corpo.  Poiché forse non sobbalzai al nome suo e della sua discoteca, mi diede un biglietto da visita.

Quella sera indossavo una gonna nera molto originale e appariscente. C’erano più spacchi che stoffa e si apriva ad ogni minimo movimento lasciando scoperte le gambe. L’americano rimase entusiasta della mia gonna e forse delle gambe e cominciò ad assillarmi per acquistarla. Dovetti spiegargli più volte che non se ne parlava e che non avevo nessuna intenzione di aggirarmi in mutande al KU.

Finalmente nella bolgia infernale della discoteca riuscii a scrollarmelo di dosso, persi però anche il suo biglietto da visita. Negli anni a seguire, tutte le volte che sono andata a Los Angeles per lavoro, mi sono chiesta chi fosse. 

Oltre all’alba

L’impianto scenico del KU era magnetico: un tripudio policromo di palme, luci e persone, la statua della dea Ku e da qualche parte, se non ricordo male, c’era anche un drago come quello del Barong indonesiano. Le dance floor erano organizzate attorno alla piscina color smeraldo; i fari proiettavano luci sfavillanti ovunque.

Ad un certo punto della serata entrarono i LocoMia. Era un gruppo elettro-pop spagnolo di 4 performer che animava le notti in quegli anni. Indossavano costumi assolutamente innovativi per l’epoca, esagerati, colletti e ricami importanti. Erano un mix originale tra la tradizione spagnola, araba e orientale. Toreri con spalle alla Mazinga. Durante lo show agitavano grandi ventagli. Credo che il gruppo sia poi miseramente imploso e abbia avuto disavventure di carattere giudiziario.

Quella sera però il pubblico li accolse con un boato assordante.  Fu tutto straordinario.  La musica pompava e ballammo tutti divertendoci fino all’alba e oltre. 

Il 30 maggio dell’87 due straordinari interpreti registrarono live la loro performance “Barcelona” proprio al Ku Club di Ibiza: erano Freddie Mercury & Montserrat Caballé.  Un evento entrato nella leggenda!

Un giorno sulla spiaggia un fotografo mi mise in braccio un piccolo scimpanzé. Ero allergica al pelo e non lo sapevo. Mi venne l’orticaria che si tatuò sulla mia pelle esattamente a forma di scimpanzé. Che sfiga!

Linate

Quando tornai in Italia qualche tempo dopo, sbarcai all’aeroporto di Linate.  Al nastro bagagli, mi si pararono di fronte due poliziotti. Mi chiesero da dove provenissi. Indicando il nastro, risposi: Ibiza.  Mi fermarono e dovetti seguirli nel loro ufficio. Ci andai sogghignando. Non avevo niente da nascondere. A dispetto della mia originalità, sono sempre stata una persona più che regolare.  Ero stravagante di mio!

Così, mentre da quel nastro bagagli chissà cosa diavolo veniva portato fuori, interrogarono la sottoscritta.

Chiarita in breve tempo la mia posizione, non potei fare a meno di chiedere ai poliziotti il motivo del fermo. La risposta mi lasciò esterrefatta: indossavo un paio di stivaletti scamosciati bianchi con le frange!   

Lasciandomi andare, aggiunsero anche di non indossarli mai più!  Risposi come avrebbe risposto mia madre: OK!

La Suzuki  Vitara

A Ibiza tornai nel 1989 con mio marito Massimo.  Comprammo una Suzuki Vitara cabrio a 3 porte grigia con soft top bianco. Era un gioiellino!  La rodammo due giorni dopo guidando fino a Ibiza. 

In concessionaria a Torino ci dissero che era la prima Suzuki Vitara venduta in Italia. Non so se fosse vero, sta di fatto che lungo tutta il percorso dall’Italia alla Spagna la gente ci fermava e chiedeva informazioni sull’auto. I bambini ci salutavano mostrandoci contenti il pollice in su quando sorpassavamo.  La prima auto uguale alla nostra la incontrammo proprio sull’isola. Era tutta bianca con targa inglese o forse olandese. Quando ci incrociavamo sulle stradine dell’isola ci salutavamo facendo i fari.

Caldo da svenire

Quell’estate fu rovente. L. ci aveva prestato il suo monolocale, ma era peggio di un forno.  Non aveva finestre e non si riusciva a fare corrente neanche tenendo aperta la porta d’ingresso. La gente dormiva buttata per strada. La prima notte Massimo ed io dormimmo accartocciati nel piatto della doccia e a turno aprivamo l’acqua non appena ci asciugavamo. Cioè in continuazione!

L’indomani cercammo un’altra soluzione e trovammo per tutto l’estate una camera direttamente sulla spiaggia di Es Cavallet.  La vacanza passò tra feste divertenti, bagni paradisiaci nelle calette, cene nelle fincas, migrando dagli schiuma party dell’Amnesia ai Flower Power Party del Pacha, dove gli hippies calavano in massa da San Carlos per fare festa. Eravamo tutti giovani e felici. Non dovevamo chiedere al mondo di stendersi ai nostri piedi perché lo faceva da solo. La vita era per noi un inno alla gioia e alla energia, la conversione nella realtà dell’invito di John Lennon di Give Peace a Chance e esistere nel segno della libertà, pace e felicità.

La traversata

Al ritorno in traghetto incappammo in una tempesta con mare forza 8. Fu un delirio. Ci impiegammo un tempo interminabile per arrivare a destinazione. Il traghetto era sconquassato dalle onde. Tutti stavano male, tranne un gruppo di dieci suore che, accompagnandosi con le chitarre, cantava le odi al Signore.   Tra un conato e l’altro, i passeggeri le imploravano a turno di smetterla.  Niente! Implacabili cantarono a squarciagola fino a Valencia. 

Il viaggio di rientro in Italia con la nostra Suzuki Vitara fu un viaggio nel viaggio, ma questa è un’altra storia… 

Memo per i posteri:

1) mai abbracciare uno scimpanzé, 2) mai indossare stivaletti scamosciati con le frange in aeroporto 3) mai viaggiare in traghetto con mare mosso e suore cantanti.

Per  Enrica con affetto Ivana

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